Diagnosi di dislessia

Dislessia Sassari Approfondimenti

Strumenti per la diagnosi di Dislessia: frequenza d’uso e immaginabilità nella lettura di liste di parole
Da alcuni decenni, un gran numero di studi sui processi di lettura ha messo in evidenza come questi fenomeni siano influenzati, nelle loro caratteristiche di fluenza e accuratezza, da numerose variabili specifiche, tra le quali la frequenza d’uso, la lunghezza (il numero di lettere che compongono una parola), l’età di acquisizione (il momento in cui una parola è stata appresa) e l’immaginabilità (questi e altri fattori vengono discussi nella bibliografica ragionata di Barca, Burani e Arduino, 2002).

Tra queste variabili, una di quelle da più tempo esaminate nello studio dei meccanismi di decodifica del testo scritto è senza dubbio la frequenza d’uso (Howes e Solomon, 1951), che può essere definita come l’occorrenza media di una parola nella lingua scritta e/o parlata di una determinata popolazione.
Diversi lavori sulla lettura sia di adulti (Gerhand e Barry, 1998; Morrison e Ellis, 1995, 2000) che di bambini di lingua inglese (Jorm, 77) confermano l’importanza della frequenza di una parola: parole incontrate molte volte nel corso della propria esperienza di lettore sono, di solito, decodificate in
modo più rapido ed accurato di quelle meno frequenti nel lessico. I suoi effetti sul compito di lettura ad alta voce sembrerebbero in qualche modo influenzati dal tipo di lingua: rilevanti nel caso di lingue a ortografia irregolare, meno consistenti nel caso di lingue ad ortografia “trasparente” o regolare (Frost, 1994). In altri termini, se è plausibile attendersi quello che comunemente viene definito come “effetto lessicale” in una lingua ad ortografia “profonda” come l’inglese, in cui la possibilità di recuperare una rappresentazione ben consolidata di una parola (determinata dalla frequente esposizione alla stessa) è essenziale per una rapida e corretta decodifica, considerate le molte irregolarità ed eccezioni nella corrispondenza tra forma ortografica e fonologica del suo lessico, potrebbe esserlo meno in una lingua come l’italiano, che in quanto caratterizzata da un’ortografia trasparente consente la lettura corretta di tutte le parole (escludendo le parole con accentazione sdrucciola ) tramite l’applicazione di regole di corrispondenza grafema-fonema, senza la necessità di riconoscere e attivare la relativa rappresentazione ortografica nel lessico mentale. Malgrado tali considerazioni, effetti lessicali
emergono nella lettura ad alta voce sia di adulti (Barca, Burani e Arduino, 2002; Bates, Burani, D’Amico e Barca, 2001) che di bambini di lingua italiana, già a partire dalla seconda elementare.

I bambini italiani, infatti, mostrano un utilizzo precoce della lettura lessicale (Burani, Marcolini e Stella, 2002; Marcolini e Burani, 2003), leggendo più velocemente le parole di alta rispetto a quelle di bassa frequenza, ed essendo più rapidi e corretti nella lettura di parole rispetto a quella di non- parole (Brizzolara, Chilosi, Cipriani e De Pasquale, 1994; Martini, Brizzolara, Pecini, Dinetti e Negrin, 2002; Maschietto e Vio, 1998; Tressoldi, 1996).
La rilevanza della variabile frequenza d’uso nell’influenzare la rapidità e la correttezza di lettura nella lingua italiana, non solo degli adulti ma anche dei bambini durante le fasi dell’apprendimento, come suggeriscono gli studi appena menzionati, ha portato nel tempo alla costruzione di strumenti finalizzati alla diagnosi della dislessia e calibrati in funzione di tale caratteristica, al fine di determinare parametri normativi con i quali confrontare le prestazioni di
lettura, delineare le caratteristiche tipiche e atipiche nell’evoluzione dell’apprendimento della lettura e definirne un modello teorico.
A tal riguardo, tra le prove di lettura carta e matita, la Batteria per la valutazione della dislessia e della disortografia evolutiva (Sartori, Job, Tressoldi, 1995) ha rappresentato, e rappresenta tuttora, nella sua versione più recente del 2007, uno strumento di grande utilità nella pratica clinica. Uno degli autori (Tressoldi, 1996), nel proporre tra i primi un’indagine sistematica sullo sviluppo delle abilità di lettura nei bambini di lingua italiana, partendo dalla mancanza di modelli esplicativi per la lingua italiana e rifacendosi in qualche modo a quelli usati per la lingua inglese (Frith, 1985; Seymour, Bunce 1993; Rack, Hulme, Snowling, 1993; Siegel, 1993), ha tentato di dimostrare l’esistenza delle due componenti della lettura (lessicale e alfabetica) e l’interazione tra queste nel corso dello sviluppo delle abilità di lettura in bambini presi in una fascia d’età che andava dalla classe 2a della scuola primaria (periodo appena successivo alle prime acquisizioni) fino alla classe 3 a della scuola secondaria di primo grado (periodo ritenuto equiparabile alla massima prestazione riscontrabile in un adulto). Questo studio ha gettato le basi per quello che di lì a poco sarebbe diventato un importante e ricco filone di studi sulle tematiche connesse allo sviluppo delle abilità di lettura nei bambini italiani, e ha dato un grosso contributo alla prassi clinica mediante la
standardizzazione di uno strumento per la valutazione del disturbo specifico di lettura nelle sue diverse sub-componenti.
All’interno di questa batteria, le liste di parole (“Prova 2”, precedentemente nota come “Prova 4”, nella versione del 1995) tratte dallo studio appena descritto, sono diventate e restano ampiamente utilizzate nella prassi clinica. I dati ottenuti permettono di effettuare una comparazione tra normolettori e dislessici sulla base delle velocità medie registrate in rapporto alle singola classe frequentata e di stabilire la presenza di un disturbo nella lettura nonché la sua natura “omogenea” o specifica. Avvalendosi di queste liste, inoltre, è possibile non solo quantificare l’eventuale discrepanza della prestazione del soggetto rispetto ai dati normativi della popolazione di riferimento, ma anche rilevare la presenza dell’effetto lessicale consistente in un vantaggio, in termini di accuratezza e/o rapidità, nella lettura delle liste con parole di alta frequenza, rispetto a quelle di bassa frequenza. Tuttavia, in relazione  all’effetto della frequenza d’uso, si tratta di un’interpretazione soltanto qualitativa di questo dato, dal momento che i di valori normativi pubblicati non si riferiscono alle 4 liste prese singolarmente, ma alla prova complessiva.

L’assenza, nella lingua italiana, di prove di lettura carta e matita in grado di valutare in modo specifico l’effetto della frequenza, è stato uno dei motivi che ha spinto il gruppo di ricerca di Zoccolotti (Zoccolotti, P., De Luca, M., Di Filippo, G., Judica, A, Spinelli, D., 2005) a pubblicare nel 2005 la Prova di lettura di parole e non parole, che utilizza liste di parole sensibili, oltre all’effetto della lunghezza, anche a quello della frequenza d’uso delle parole stesse, fornendo dati normativi separati per la lista di parole ad alta e per quella a bassa frequenza, e distinguendo, all’interno di ciascuna di queste liste,
tra parole lunghe e parole corte.
Accanto alle variabili fin qui menzionate, e contemplate sia nello studio delle prestazioni di lettura che nella costruzione degli strumenti diagnostici, non ha trovato spazio finora, perlomeno nella lingua italiana, un’altra variabile semanticamente connotata, l’immaginabilità.

Immaginabilità nella dislessia

L’immaginabilità può essere definita come “la facilità e rapidità di una parola a evocare un’immagine mentale, una rappresentazione visiva, un suono o qualche altra esperienza sensoriale” (Cornoldi, 1974; Paivio, Yuille e Madigan, 1968; Roncato, 1974) o “il grado in cui la rappresentazione del significato di una parola ha proprietà senso-motorie” (Strain, Patterson e Seidenberg 1995). Oggetto di studio per lungo tempo insieme ad un’altra variabile a questa correlata, la concretezza, l’immaginabilità rappresenta quella di maggior interesse, essendo un potente predittore delle prestazioni di lettura nei pazienti con dislessia profonda, i quali, a motivo di un severo deficit fonologico, sembrano leggere esclusivamente per via semantica (Allport e Funnel, 1981; Coltheart, Patterson e Marshall, 1980). I dislessici profondi infatti appaiono agevolati nella lettura delle parole di alta piuttosto che di bassa immaginabilità (Coltheart, Patterson e Marshall, 1980; Denes, Cipolotti e Zorzi, 1999; Funnell, 1987; Marshall e Newcombe, 1973; Plaut e Shallice, 1993).

Recenti studi hanno circoscritto gli effetti dell’immaginabilità ai pazienti con disturbi acquisiti (Balota, Ferraro e Connor, 1990), limitatamente alle parole irregolari di bassa frequenza (Cortese, Simpson e Woolsey, 1997; Strain, Patterson e Seidenberg, 1995; Zevin e Balota, 2000), o ai poor readers (lettori mediocri) (Coltheart, Laxon e Keating, 1988; Strain e Herdman, 1999); un quadro analogo emergerebbe per l’italiano, dove questa variabile semantica non sarebbe un predittore significativo delle prestazioni adulte di lettura (Barca, 1999; Barca, Burani e Arduino, 2001; Bates, Burani, D’Amico e Barca, 2001). Tuttavia, l’immaginabilità sembra esplicare una certa influenza durante le primissime fasi dell’apprendimento della lingua scritta e quindi sulla lettura dei bambini delle prime classi elementari, perlomeno nella lingua inglese.

L’esigenza di indagare meglio gli effetti dell’immaginabilità sulla lettura dei bambini di lingua italiana e, al tempo stesso, l’influenza della frequenza d’uso, ha portato alla costruzione di una nuova prova di lettura di parole (Mazzotta, 2003), calibrata con caratteristiche psicolinguistiche tali da renderla particolarmente sensibile agli effetti di queste due variabili, e alla loro reciproca interazione (Mazzotta, Barca, Marcolini, Stella, Burani, 2005). Questo studio ha contribuito a dimostrare come la frequenza della parola influisca sia sull’accuratezza che sulla velocità di lettura dei bambini, confermando risultati precedentemente osservati sia su bambini (Brizzolara et al., 1994; Burani et al., 2002; Marcolini e Burani, 2003; Martini et al., 2002; Maschietto e Vio, 1998; Tressoldi, 1996) che su adulti italiani (Barca et al., 2002; Bates et al., 2001), nonostante l’italiano sia una lingua con corrispondenze  ortografico-fonologiche regolari, suggerendo perciò che la lettura lessicale sia disponibile e relativamente efficiente già nei bambini di terza e di quinta
elementare. Ha inoltre rilevato un effetto, anche se modesto, della variabile semantica dell’immaginabilità, che risulta influenzare significativamente la velocità di lettura dei bambini solo per le parole di bassa frequenza.

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